Un cambio di prospettiva segna l’inesorabile ritorno del consumatore al centro delle decisioni aziendali ed il radicale cambiamento del Marketing Mix.

Questo mutamento graduale è iniziato dopo la seconda guerra mondiale in una società dei consumi già matura (specialmente in America) e si perfeziona ogni giorno di più in nuovi scenari creati dalla rivoluzione digitale.

L’ approccio incentrato sul cliente si riflette in un modello che si è adattato ai cambiamenti tecnologici, economici e culturali ed è ancora oggi ampiamente utilizzato: il marketing mix, che testimonia sempre più la subordinazione della consapevolezza del marchio al potere del consumatore.

In questo post vedremo come gli elementi del marketing mix sono interpretati all’interno di strategie non tradizionali, con particolare attenzione a quelle – la personalizzazione prima di tutto – che stanno rendendo l’esperienza del cliente più ricca e coinvolgente.

L’evoluzione del marketing mix: verso la personalizzazione

“Il marketing mix è l’insieme di variabili controllabili che l’impresa può utilizzare per influenzare la risposta dell’acquirente”. (Philip Kotler, Marketing Management)

Il marketing mix, nella sua versione originale, è concepito come un paradigma incentrato sull’azienda, dal lato dell’offerta (organizzato attorno alla produzione e principalmente per supportare l’offerta di prodotti o servizi), che fa parte delle famose 4P (product, price, place e promotion) come strumenti chiave per gli esperti di marketing.

Dagli anni ’70, studiosi e professionisti hanno messo in dubbio alcune delle ipotesi del modello, aggiungendo più “P” alle quattro esistenti o sostituendoli con altrettante “C”.

 

Ragioni per una trasformazione

Il primo a descrivere la gestione del marketing come una “miscela di ingredienti” è James Culliton:

“Un decisore, un’artista – una miscela di ingredienti, che a volte segue una ricetta preparata da altri, che a volte produce la propria ricetta, a volte adatta una ricetta agli ingredienti disponibili, a volte sperimenta o inventa ingredienti che nessun altro ha provato ”(James Culliton, 1948).

Neil H. Borden ha coniato l’espressione “marketing mix” utilizzandolo continuamente nelle sue lezioni universitarie e includendolo in un articolo pubblicato nel 1964.

Il mix  di Borden comprende 12 elementi: pianificazione del prodotto, prezzo, marchio, canali di distribuzione, vendita personale, pubblicità, promozioni, packaging, display, servizio, gestione fisica, accertamento e analisi.

Tuttavia, McCarthy ha introdotto un’altra versione, che è diventata standard ed è stata insegnata e studiata in tutto il mondo, cristallizzando il marketing mix in 4 memorabili P (1960): prodotto, prezzo, luogo e promozione.

Nel tempo, tuttavia, queste quattro P si sono dimostrano inadeguate per descrivere una realtà sempre più complessa. L’aggiornamento più citato sulle quattro P è quello delle 7 P, che espande la definizione per includere: prove fisiche, persone e processo.

Dal marchio al consumatore

In un articolo del 1990, Four P’s Passe; C-words Take Over, Bob Lauterborn va ancora oltre e introduce le sue 4 C (cliente, costo, convenienza, comunicazione), che sostituiscono le 4 P originali.

Qui, il prodotto lascia il posto al consumatore, che diventa il vero oggetto di indagine, con i suoi bisogni e desideri inespressi.

Lauterborn sostituisce il prezzo con il costo, evidenziando l’inadeguatezza della categoria di “prezzo” nel riflettere la complessità dell’equazione con cui il consumatore prende le sue decisioni di acquisto.

Il posto, nell’era della dematerializzazione dell’esperienza di vendita, diventa inevitabilmente meno rilevante (anche se, come vedremo, questo deve essere rivisto alla luce di eventi più recenti che restituiscono importanza al negozio fisico).

Si riferisce invece alla praticità, che riconfigura i processi di comunicazione, pagamento e consegna, catturando le specificità degli stili di vita e dei consumi contemporanei, resi possibili dalle tecnologie digitali.

Infine, la promozione viene sostituita dalla comunicazione, che fornisce un resoconto più accurato della natura della relazione tra l’azienda e il suo pubblico di riferimento.

Il consumatore è quindi il punto focale del marketing mix, la base su cui sono organizzate tutte le attività di vendita.

Le percezioni del consumatore, debitamente registrate e classificate, determinano il valore del prodotto, quindi l’obiettivo dell’azienda, che è quello di massimizzare i profitti, deve essere adattato per raggiungere la soddisfazione e la lealtà del consumatore.

Il marketing mix e il percorso del cliente

Il tradizionale marketing mix prende un’altra forma in un mercato in cui il cliente ha il “potere” di prendere decisioni immediate e può contare su un numero di canali progettati proprio per facilitare quei processi decisionali, avanzando in una sola direzione, contrassegnata da un elenco di elementi distinti e successivi.

Una soluzione, quindi, sembra essere quella di concentrarsi sull’acquisizione di una conoscenza sempre crescente del comportamento umano da analizzare con l’obiettivo di identificare le tendenze che il comportamento genera.

Il Marketing Funnel

I cambiamenti macroscopici che si sono verificati nel marketing mix dopo l’avvento dell’era digitale trovano una corrispondenza in un altro strumento ampiamente utilizzato dai professionisti: il marketing funnel, che si è evoluto nella forma circolare del percorso del cliente e specificato nelle tre fasi del percorso dell’acquirente (consapevolezza, considerazione, decisione).

Durante il viaggio, un’acquirente procede, con un ritmo progressivo ma non lineare, dalla scoperta di una necessità all’identificazione del prodotto o servizio che deciderà di acquistare. Le quattro C del modello di Lauterborn influenzano e supportano le decisioni dei clienti durante l’ultima fase del processo di acquisto.

Non solo, ma sono incarnati nelle forme visibili e tangibili (fisiche o virtuali) del negozio.

Imballaggio, dimensioni del prodotto, segnaletica, interazioni con i venditori, persino posizioni sugli scaffali sono tutte variabili che influenzano profondamente gli “ultimi” momenti del viaggio di un consumatore.

Allo stesso modo, un sito di e-commerce deve avere un’architettura e elementi visivi immediati e comprensibili in cui gli obiettivi dell’utente sono costantemente “a portata di mano”.

Una UX poco chiara che offre un’esperienza di navigazione complessa o, peggio, noiosa, può portare all’abbandono del carrello e ad alte frequenze di rimbalzo.

La fase post-acquisto prolunga il viaggio anche dopo l’acquisto, rappresentando un momento sempre più importante dal punto di vista aziendale, non solo in termini di targeting (consente di ottenere informazioni preziose sui clienti acquisiti), ma anche in termini di pratiche orientate verso la creazione di fedeltà del cliente.

I clienti sono chiamati a “condividere” i loro acquisti sui social network, sia che si tratti di un post su un blog, su Twitter, sulla propria pagina Facebook o sulla pagina del marchio. Più autentica è la storia, più contribuisce a una narrazione globale del marchio percepito come unico.

Vendita al dettaglio nel viaggio del consumatore

Nella customer journey, sono possibili diversi percorsi. Potrebbe essere una pubblicità in televisione o sui giornali, un video su YouTube o un post su Facebook a stimolarti a saperne di più su quello specifico marchio.

Può anche succedere che un potenziale cliente passi attraverso tutte le fasi della fase di valutazione, guardi attentamente le pubblicità, confronti le promozioni su canali diversi, salti da un tipo di media all’altro, consulti gli amici, legga innumerevoli recensioni online, ma poi decida che lui preferisce aspettare (forse arriva alla conclusione che quel prodotto o servizio non soddisferà il suo bisogno).

ROPO: research online, purchase offline

Questi esempi suggeriscono che oggi ci troviamo in quel contesto definito ROPO (ricerca online, acquisto offline).

Recenti statistiche mostrano che quasi 9 consumatori su 10 consultano fonti online prima di andare al negozio e, tra questi, il 58% usa il proprio smartphone nel negozio per cercare informazioni sul prodotto o servizio specifico che intendono acquistare.

Per poter offrire ai consumatori esperienze in-store coinvolgenti, utili e personali (come quelle offerte online), è necessario combinare tutti i punti di contatto disponibili per creare un percorso pertinente che possa andare in entrambe le direzioni: l’esperienza di tipo ROPO è chiamata reverse-showrooming o webrooming nel caso i consumatori guardino un prodotto in negozio e cerchino su Internet l’offerta migliore.

Una soluzione strategica in grado di invertire un percorso di tipo ROPO potrebbe essere quello di un rivenditore fisico che indirizza i clienti verso un’app in cui possono scansionare gli articoli sugli scaffali e ricevere offerte in tempo reale in base ai punti sulla propria carta fedeltà.

Una comunicazione a due vie

In ogni caso, ci troviamo di fronte a una comunicazione a due vie, tipica del marketing non tradizionale.

Nell’ambito di un piano di marketing integrato progettato per migliorare il momento della vendita al consumatore finale, la pratica ora sembra riguardare la combinazione di strumenti tradizionali con strumenti non tradizionali in grado di fornire contenuti aziendali (istituzionali e di prodotto) su più formati e canali, utilizzando metodi conversazionali, che consentono al marchio di essere reattivo nel ricevere e metabolizzare il feedback del proprio pubblico target.

Un ulteriore chiarimento: le strategie di marketing non tradizionali differiscono, secondo adweek.com, in base alla fase (come la fase di considerazione o decisione). Ciò include i contenuti pubblicati sul Web o quelli implementati direttamente in negozio, dalle raccomandazioni alla personalizzazione.

La personalizzazione online riguarda i contenuti, mentre la personalizzazione in negozio riguarda il percorso del cliente. Non si tratta più quindi di scrivere e scambiare consigli sui prodotti, ma piuttosto di creare un’esperienza più rilevante per i clienti, sia all’interno dell’ambiente del negozio che in seguito, nella loro vita quotidiana.

Phygital: la nuova frontiera del marketing al dettaglio

C’è un’espressione che descrive questo mix di pratiche digitali e contesto fisico. “Phygital” è il tentativo di ricomporre gli aspetti più significativi di un’esperienza ricca e “completa”, nello spazio materiale del negozio.

Phygital comprende la consapevolezza che il processo di acquisto del consumatore sia fluido e, per questo motivo, può essere collegato a elementi online o offline.

Questo è il motivo per cui il 22% delle persone che intendono acquistare un prodotto o un servizio, ed eseguire una ricerca mobile, preferisce concludere il proprio acquisto presso un rivenditore al dettaglio.

Le interazioni interpersonali continuano ad essere un elemento critico, il che implica che la componente fisica ed emotiva degli acquisti non può essere trascurata. Phygital significa sviluppare, organizzare e contestualizzare gli elementi del marketing mix in base alla situazione specifica, online e offline, e alle esigenze del singolo rivenditore.

La vendita al consumatore finale può essere progettata per l’esperienza digitale, come immediatezza, risorse immersive e velocità, ma anche per l’esperienza in negozio, come la comunicazione diretta e simultanea e la possibilità di provare il prodotto.

Il marketing al dettaglio sta cercando di trovare soluzioni ad hoc, attingendo creatività e competenze dal marketing non convenzionale (ad esempio utilizzando tecniche prese in prestito dal mondo del Guerrilla marketing) con le quali fornire la personalizzazione (quella che consente ai clienti di New Balance di utilizzare un chiosco in negozio per progettare le proprie scarpe scegliendo tra una vasta gamma di colori e stili).