Lo abbiamo detto molte volte, la pandemia ha accelerato il processo di crescita dell’e-commerce moltiplicando i consumatori che scelgono di acquistare online anziché in negozio.

Questo spostamento di un gran numero di consumatori verso il canale online non può che penalizzare il canale tradizione.

Un danno che per l’Italia da qui al 2025 si stima sarà pari a 3,7 miliardi di euro.

Non certo numeri di poco conto…

Cosa succede?

Succede che la vecchia distinzione fra canale online e canale offline non esiste più.

Oggi questa barriera è diventata liquida e sempre meno riconoscibile.

Pensate a quanti italiani ritrovatisi loro malgrado in quarantena hanno dovuto ordinare la spesa attraverso il web.

O a queste persone impaurite dal recarsi all’interno dei loro punti vendita fisici preferiti hanno scelto di acquistare online i prodotti di cui avevano necessità.

Certo, che l’ecommerce fosse un fenomeno in crescita lo sapevamo già e che prima poi sarebbe diventato dominante anche.

Prima della pandemia però una larga fetta della popolazione, per la maggior parte anziani e persone con un scarso feeling con in mondo digitale non avevano mai sperimentato l’acquisto via web.

Molti di loro si sono però dovuti adeguare e sono entrati per la prima volta nella loro vita all’interno del panorama dell’e-commerce.

In questo senso la ricerca del consorzio di aziende online Netcomm certifica come tra le varie categorie di consumatori quella del consumatore digitale sia quella con il tasso di crescita maggiore.

Fra il 2020 ed il 2021 è interessante parlare anche di quali sono i settori che maggiormente hanno registrato una crescita fra i consumatori digitali.

Il settore fashion ha registrato acquisti online passati dal 2% al 12,9%, il food da 2% al 9,9% e il personal care dal 2% al 12,8%.

Questo cambiamento di abitudini ha fatto in modo che aspetti come il pagamento digitale e le recensioni di altri consumatori siano diventati sempre più importanti per i consumatori.

La crisi del settore retail.

Questi numeri certificano un grosso problema per il settore retail.

Per l’Italia come già accennato si stimano perdite da qui al 2025 pari a 3,7 miliardi di euro con una redditività in calo dal 3,5% al 2,6%.

Per quanto concerne invece il panorama europeo il calo è stimato in 35 miliardi di euro.

Il nostro paese, storicamente caratterizzato da un tasso di adozione dell’e-ecommerce inferiore rispetto ad altri paese europei vedrà invece, a seguito della pandemia, un ritmo di adozione particolarmente sostenuto.

Il cambiamento nelle abitudini di acquisto registrato durante la pandemia è destinato ad essere in larga parte confermato anche una volta che l’emergenza sanitaria sarà alle spalle.

Il 38,4% degli italiani dichiara infatti di non voler tornare ai modelli di acquisto pre-pandemia. Dato superiore rispetto a quello registrato in Spagna (33%) ed in Inghilterra (29,6%).

Come resistere a questo fenomeno?

Il punto nodale e la via per resistere a questo cambiamento passa da una buona gestione informatica dei dati.

La nuova epoca dei consumi si caratterizza infatti per la necessità di una corretta gestione informatica dei dati.

Il Capgemini Research Institute, con il suo ultimo report, sottolinea come soltanto il 16% delle aziende di prodotti di consumo sia “data master”.

Questo 16% gode però di margini di profitto operativi superiori di un terzo rispetto ai competitor.

In un mercato in continua evoluzione come quello del retail una corretta gestione e un’attenta analisi dei dati rappresenta la chiave per cambiare rapidamente il modo di agire delle aziende e rispondere alle mutevoli esigenze dei consumatori.

Questi motivi portano Capgemini a stilare una ricetta per le aziende che vogliono intraprendere una rivoluzione basata sui dati.

Gli ingredienti sono:

  • Promozione di una cultura interna all’azienda di tipo data powered
  • Modernizzazione delle piattaforma dei dati rendendo questi ultimi centrali
  • Creare ecosistemi per avere informazioni sulle preferenze dei consumatori