Quanto costa al retailer fornire un’esperienza d’acquisto negativa?

Facciamo un passo indietro…

Definire Amazon Go come lo store senza casse potrebbe essere riduttivo.

Certo…

Uno degli obiettivi di questi store è quello di non avere bisogno delle casse. Ma quello che reputo più importante è che dal momento in cui il consumatore entra in negozio al momento in cui lo lascia, ogni azione che egli compie viene tracciata e misurata.

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Forse Amazon non sta (ancora) analizzando ogni bit dei dati raccolti, ma rimarrei incredulo se mi dicessero che Amazon raccoglie i dati e poi li butta semplicemente via. L’intero punto focale è la raccolta di dati sul comportamento d’acquisto prima non misurabili.

E per un’azienda come Amazon che ha già molta esperienza nell’osservazione dei dati sui comportamenti d’acquisto, l’idea di mettere le mani sugli stessi dati rilevabili online nel contesto di uno store è molto più importante rispetto al risparmio di qualche dollaro sul personale.

I retailer tradizionali sono stati a lungo eccessivamente concentrati sull’acquisizione di nuovi clienti rispetto alla loro fidelizzazione. Ed infatti una delle domande che salta fuori ogni volta che si parla di promozioni è: “la promozione è dedicata ai tuoi clienti o stai facendo uno sforzo per accaparrartene di nuovi?” La risposta è quasi sempre la stessa: “Ho già i miei clienti – perché dovrei rinunciare a del margine di guadagno a favore di consumatori che so che compreranno ugualmente?”.

Tuttavia, poiché i rivenditori tentano di sottrarre le promozioni ai clienti abituali, nel mondo di oggi guidato dalle esperienze, nasce un nuovo tipo di domanda: perché offrire un’esperienza migliore a un nuovo cliente rispetto a un cliente esistente?

La risposta dovrebbe essere che non lo faresti mai.

Un esempio di esperienza d’acquisto negativa

Poco tempo fa mentre ero in fila al supermercato mi sono soffermato a pensare. Ero in fila dietro a 6 persone. C’erano anche altre due file della stessa lunghezza. Il negozio aveva almeno 20 casse, ma a quell’ora solo 3 di esse erano aperte. Durante il tempo in cui tutti noi siamo stati in fila non è stato fatto alcun tentativo di aprire nuove casse o accelerare lo scorrimento di quelle aperte.

Mentre aspettavamo una sorta di spirito di cameratismo si è sviluppato fra noi consumatori. Abbiamo iniziato a domandarci: forse un po’ di persone si sono date malate (era domenica mattina)? Il manager dello store ha ridotto il personale la domenica mattina per abbassare i costi?

La mia conclusione è stata che probabilmente il manager del negozio stesse tentando di abbassare il costo del personale.

Se ciò fosse vero mi chiedo: qual è il costo ultimo di questa decisione?

18 persone in coda.

18 carrelli pieni.

Almeno dodici di queste persone infastidite dall’attesa e dal fatto che nessun’altra cassa stava aprendo.

Certo, non abbandonerei il mio carrello dopo aver completato tutta la mia spesa. Ma dopo quante esperienze di questo tipo potrei iniziare ad interrogarmi sul giudizio nei confronti di quel negozio? Quante volte prima che decida di provare negozi alternativi per cercare di trovare una migliore combinazione fra prezzo e servizio?

La mia conclusione?

Forse dopo tre esperienze negative proverei un supermercato alternativo. Se un manager arrivasse e guardando con preoccupazione la situazione si scusasse e dicendo “Sono così dispiaciuto, stamattina abbiamo tre persone malate”, potrei allungare a quattro.

Ma non oltre.

Aggiungere un cassiere sarebbe costato approssimativamente 60 euro per 4 ore. Aggiungerne tre ne sarebbe costati 180. Il mio carrello da solo era di circa 180 euro. E c’erano altre undici persone con carrelli simili al mio che erano molto disturbate dall’attesa.

Ipotizziamo che il carrello medio fosse di 150 euro. 12 carrelli da 150 euro fanno 1800 euro totali. Diciamo che per il supermercato un cliente sue tre rischia di essere perso a causa di questa esperienza d’acquisto negativa. Sono 600 euro a rischio, molto più dei 180 del costo di 3 cassieri aggiuntivi.

Misurare la strada non presa

Le persone prestano attenzione a quello che stanno misurando. Ma anche l’inverso è vero: le persone non prestano attenzione a ciò che non stanno misurando. E misurare il costo di una brutta esperienza d’acquisto è difficile.

Molti retailer che discutono di questi temi lo fanno partendo da semplici supposizioni come quella che abbiamo fatto poco fa. Ho inoltre sentito dire da molti retailer che loro hanno una robusta campagna di fidelizzazione. Ma con robusta, loro intendono, che ottengono un tasso di risposta del 25% alle e-mail di fidelizzazione rispetto al 15% di quelle normali.

Le campagne di fidelizzazione sono quasi sempre basate sugli acquisti. Il retailer si domanda: quando è stata l’ultima volta che quel cliente ha acquistato qualcosa? I rivenditori fanno spesso analisi basilari per comprendere che se il consumatore non ha comprato niente negli ultimi X mesi (il tempo dipende molto dal tipo di bene venduto) può ritenersi a rischio o perso.

Ma queste analisi non tengono conto di molti dettagli importanti e non sono quindi molto attendibili per affermare se un consumatore è perso oppure no.

Ad esempio potrebbe piacermi molto la collezione estiva di un retailer di abbigliamento, ma trovare non di mio gusto quella invernale. Fino alla nuova stagione estiva dunque non comprerei niente da quel retailer e quindi il tempo per considerarmi un cliente perso salirebbe a 12 mesi.

I rivenditori ignorano molte informazioni sul comportamento d’acquisto che sarebbero già disponibili oggi senza dover disporre dell’apparato tecnologico dei nuovi negozi Amazon Go. Molti consumatori ad esempio iniziano gli acquisti online prima di recarsi in negozio. Che tipo di analisi del comportamento dei consumatori online potrebbe essere un indicatore migliore della crescente frustrazione e insoddisfazione rispetto alla semplice mancanza di acquisti?

Ci sono molti modi per rispondere a questa domanda.

Il primo è guardare in generale all’attività, non soltanto agli acquisti:

  • Il cliente ha visitato il sito ma non ha acquistato?
  • Fino a che punto è arrivato – ha aggiunto qualcosa al carrello?
  • Oppure ha soltanto navigato?
  • Ha visitato la pagina Contattaci, ma in realtà non ha contattato nessuno?
  • Ha visitato un canale social? Se sì, vi ha lasciato commenti negativi?

Molti rivenditori tracciano la customer experience, ma non conosco nessun retailer che cerchi di legarla alla fidelizzazione dei clienti. Quanti clienti della categoria “a rischio” hanno avuto un’esperienza negativa sul sito a causa di malfunzionamenti?

Quanti clienti “a rischio” hanno avuto un’interazione irrisolta con il call center come ultima interazione con l’azienda? E coloro che hanno abbandonato un carrello della spesa come ultima interazione? O provato (senza successo) a acquistare o a riscattare una carta regalo online? O provato (senza successo) a riscattare un’offerta?

Quale percentuale dei tuoi clienti “a rischio” sono tali perché li hai irritati al punto che non vogliono più acquistare dalla tua azienda?

Scommetto che potresti rispondere a queste domande più facilmente di quanto pensi e che la risposta che otterresti non ti piacerebbe affatto.

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